Come non uscire dalla quarantena … ed esserne felici
Dopo mesi di reclusione e di adattamento al lockdown ecco la tanto agognata fase 2…
Ripercorrendo insieme i passi della quarantena, possiamo ricordare come ad un certo punto sia diventato vitale il bisogno di uscire: si è trovata la piccola via di fuga nel fare la spesa (magari anche più volte nella settimana o giorno), nell’uscire sul balcone di casa per incontrarsi simbolicamente attraverso le canzoni e i flash mob, semplicemente chiacchierare o fare giochi a distanza. Si è cercato di dare un contenimento all’incertezza, al caos percepito, alla vita che stava subendo uno stravolgimento, ad equilibri da dover ricostruire attraverso l’acquisizione di nuove piccole routine…
Sono passati mesi faticosi, difficili, in cui però è stato riscoperta la lentezza, per alcuni è stato possibile occuparsi degli affetti più cari, della casa (risistemandola e facendo una immersione nei ricordi e nei “tesori” della soffitta), concedersi tempo per i propri hobby o riscoprirne di nuovi… . Si è vissuto un tempo sospeso, in cui forse in alcuni momenti ci si è potuti sentire, almeno in parte, padroni dei confini di casa.
Staccarsi dalle routine più faticose, come il lavoro o la gestione dalla famiglia, ma anche delle più piacevoli, come vedere amici e familiari, può aver dato ad alcuni il tempo di fermarsi, sentire la mancanza, adattarsi a questa nuova realtà. Alcuni non hanno sentito il bisogno di uscire per socializzare o di dover postare foto di aperitivi e cene ma hanno potuto sperimentare la comodità del divano senza sentire il peso del giudizio sociale .
Così, per quelli che hanno fatto esperienza di questa modalità della quarantena, la tanto sperata “riapertura” di cui si fantasticava una grande abbraccio collettivo, si è tradotta in distanziamento sociale, in contatti moderati, nell’uso della mascherina e dei guanti … e la domanda che sorge spontanea è se a quel distanziamento fisico possa corrispondere anche un distanziamento psicologico dall’altro.
E’ possibile che il bisogno di reinserirci nella società, e la paura delle incursioni dell’esterno, ci portino a sentire il bisogno di tutelarci, di approcciarci all’esterno con gradualità?
In alcuni casi (anche per bambini e ragazzi) si potrà sentire bisogno di un ulteriore tempo per compiere questo passaggio, si potrà avvertire una nostalgia del tempo passato in casa e mostrare incertezza e paura nell’affrontare il tempo post-quarantena, mostrare il timore di non adattarsi. Potrà esserci stanchezza nel riprendere ritmi diversi da quelli degli ultimi mesi, preoccupazione nel dover abbandonare alcune consuetudini apprese e costruite durante la quarantena.
E’ possibile che per alcuni il tempo sospeso della quarantena possa essere stato un “tempo magico”, un rifugio sicuro e sereno in cui sostare?
Lo stop imposto ha messo molti in difficoltà: di fronte all’obbligo di fermarsi in tanti hanno sentito la pesantezza del “non fare”. Ma ciò che per alcuni ha rappresentato un obbligo faticoso, per altri è stato motivo di alleggerimento: un allentamento dalle routine frenetiche e dagli obblighi formali, una “buona” motivazione per stare con sé stessi e in alcuni casi questo ha rappresentato un alleggerimento anche del sintomo.
In particolar modo, per questa categoria di persone, sarà importante concedersi il tempo dell’adattamento, del reinserimento nella società, nelle relazioni, nel tempo lavorativo, riflettendo su ciò che di importante si è colto nella quarantena (perché forse qualcosa ci ha insegnato di noi stessi ) e portarlo, perché no, anche al di fuori, nella fase successiva del reinserimento.
Da qui è possibile comprendere la difficoltà ad uscire dalla bolla di ottundimento della quarantena, che per certi versi può aver rappresentato una buona difesa dall’esterno.
In questo momento, immaginare il ritorno ad un “prima” è qualcosa di a-temporale, non calato nella realtà: non esistono sicurezze e non ci sono tempi certi sulla fine del virus ma solo sulla possibilità di conviverci. Anche la “bolla” rappresenta in fin dei conti qualcosa di irreale, un tentativo di rispondere alla paura della ripresa dei ritmi esterni con il pensiero che è possibile evitarlo se rimango in casa…ma questa non è la realtà. La realtà è confrontarsi con ciò che spaventa, prenderne atto, sapere che questo confronto costerà fatica ma porterà a trovare un nuovo equilibrio. Non sarà l’equilibrio di “prima”, ma uno nuovo.
Forse questa rappresenta una buona possibilità: ricominciare a ri-connettersi con la realtà attuale, mantenere le parti positive scoperte o riscoperte nella quarantena, adattarsi al tempo un po’ più veloce che attualmente si ha rispetto al lockdown, avere pazienza, tollerare ancora un po’ di non riuscire ad essere subito disponibili socialmente.
Sicuramente un aiuto, per chi si trova in questa situazione, può essere quello di provare ad autorizzarsi a questo stato d’animo e provare a spiegare anche a chi si ha vicino il proprio bisogno di lentezza e di “solitudine senza sentirsi obbligati a percepirsi strani o asociali.
Fare una “mappa relazionale” delle persone che si desidera vedere in modo da evitare il disagio dell’abbuffata dopo mesi di astinenza, oppure alternare momenti di socialità con altri in cui restare nel proprio rifugio. Inoltre, pensare alle buone pratiche sperimentate nella quarantena e provare a riportarle nell’oggi: trovare un tempo per se stessi, i propri hobby e la propria famiglia, fare tesoro delle dinamiche e dei comportamenti scoperti di conviventi o figli (magari prima meno visibili) che possano aver sorpreso positivamente, stabilire tempi diversi per la gestione della famiglia allargata ma anche del lavoro.
Questa esperienza storica mondiale ci ha invitato a modificare il nostro pensiero e i nostri comportamenti, ci ha sollecitati a vivere nel qui e nell’ora, ci ha destrutturati impedendoci di trovare rassicurazione nella progettazione, ma ci ha insegnato a darci delle priorità, a volgere lo sguardo su noi stessi e a prendere contatto con le nostre paure, ad adattarci all’imprevisto. In questo modo forse è possibile non archiviare questa esperienza come solo negativa, forse è possibile portare con noi qualcosa di buono.
Silvia Girotti e Valentina Fracassetti